Renato Zero e altri pischelli

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Mi sono sempre sentita un po’ più grande rispetto alla mia età anagrafica. Forse perché in quanto sorella maggiore ho sempre avuto più responsabilità, oppure perché ho iniziato le scuole elementari con un anno d’anticipo o magari perché sono vecchia dentro e basta.

Questo mi ha portato a frequentare sempre gente leggermente più grande di me. 

In terza media per esempio snobbavo tutti i ragazzini che mi facevano il filo perché li consideravo dei pischelli, dei cucciolotti adorabili, ma in realtà sulla carta avevano uno o al massimo due anni in meno di me.

Quello è stato per me l’anno della gloria, possiamo dire che tra il 1997 e il 1998 ho vissuto la mia Jennifer Lawrence Era. L’exploit è avvenuto precisamente il giorno di San Valentino quando, inaspettatamente, sono tornata a casa dopo scuola con una valigia piena di cioccolatini e biglietti romantici. Ovviamente nessuno di questi cavalieri poteva avere una chance, il mio cuore apparteneva ancora e sempre alla stessa persona e non c’era verso di schiodarla da lì.

Un giorno di primavera di quello stesso anno, durante qualche ora libera da impegni scolastici, il mio compagno di classe Andrea S. mi ha presentato un ragazzetto tutto pelle e ossa che frequentava la prima media e mi trovava carina.

Prima media ppfffff, per una donna di mondo come me era praticamente come fare la stagista alla materna! Io ascoltavo i Backstreet Boys e le Spice, indossavo scarpe Fornarina, profumavo di Bon Bon Malizia (Pesca Pop) e mi truccavo di nascosto in ascensore prima di andare a scuola, come avrei mai potuto provare interesse per uno di prima media?

Gli ho stretto la mano, rosicchiando quel che restava di un Chupa-Chups delle Spice (quelli con i tattoo) ho detto il mio nome, anche se ero certa che non ce ne fosse bisogno: Jennifer Lawrence necessita forse di presentazioni? Boh non credo.

Il ragazzo magrolino e con i capelli rasati super corti mi ha stretto la mano mentre l’altra era avvinghiata a un pallone da calcio sporco, ha pronunciato frettolosamente il suo nome e si è voltato mostrandomi un enorme ZERO sul retro della sua t-shirt Nike.

Si chiamava Renato.

L’incontro con questo pischello di prima media, tutt’ossa e con l’apparecchio ai denti, mi è rimasto impresso per anni: Renato Zero.

Il destino e Facebook poi lo hanno portato sotto casa mia 13 anni dopo.

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