La festa era finita prima del previsto, dopotutto l’indomani era una giornata lavorativa e nessuno aveva voglia di far tardi.
Avevamo scelto insieme il regalo per la festeggiata, una scusa per vederci qualche giorno prima del compleanno, fare una passeggiata e avere qualcosa di cui parlare tramite sms. Durante la cena ci siamo parlati a stento, eravamo tanti e come sempre lui fingeva che fossimo solo amici e io fingevo (o forse ne ero convinta) che mi piacesse un altro, quell’altro!
Dopo cena mi ha dato uno strappo, la strada del ritorno fino a casa mia è sembrata lunghissima, saranno 5 km scarsi ma a me sono sembrati 60. Normalmente parlavamo tantissimo, ma quei 5 interminabili minuti sono stati silenziosi e, appunto, interminabili. Arrivati sotto casa ho messo il telefono in borsa, l’ho ringraziato del passaggio e ho detto “dai ci sentiamo nel week-end”, stavo per aprire la portiera quando lui ha sbuffato molto forte, mi ha preso il viso con due mani e mi ha baciata.
Mi ha preso le mani per evitare che me ne andassi o per costringere se stesso a non cambiare idea? Ha sbuffato come se gli costasse fatica ammettere che, in fondo, quel bacio fosse fermo lì da chissà quanti giorni (settimane?) in attesa di esplodere.
In quel momento l’unica esplosione tangibile si è verificata nella mia testa.
“Buonanotte”.
Ho sorriso, sono corsa verso l’androne del condominio e ho iniziato a chiamare, una per una, tutte le mie amiche. Tutte.
Io a quel bacio sbuffato, mentre mi teneva la faccia con entrambe le mani, penso spesso ancora oggi. È stato spontaneo, sofferto e un po’ fanciullesco, molto Dawson’s Creek insomma una cosa d’altri tempi.
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